Storia di vite vissute

Pillole di Storia da cui prendere spunto per una riflessione più approfondita.

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Monday, April 30, 2007

IL LEONE D'IRLANDA


Ebbene sì... eccomi qua!Ritorna il prof. di storia Mosca (buuuu fischi impietosi), che prima di tutto si scusa con i suoi lettori (credo nessuno, ma per educazione lo dico eh eh). Incredibilmente ho deciso di scrivere di nuovo in questo noiosissimo blog solamente, unicamente per il mio smisurato amore per la storia, quindi bando alle ciance!
Un'antica cronaca, il Libro delle guerre dei Gaedhill contro i Gaill, pur nelle esagerazioni tipiche del gusto letterario irlandese, tramanda le imprese di Brian Boru, uno dei maggiori condottieri dell'antica Irlanda. Brian nacque nel 950 d.C. a Thomond e divenne re di una tuath (tribù) alle foci del fiume Shannon. Sin da giovane dedicò la sua vita a combattere senza tregua i Vichinghi: "Se non li distruggeva durante il giorno, era sicuro di farlo durante la notte". Infatti la sua era una vera e propria tattica di guerriglia! Comandava pochi guerrieri, che non avevano basi fisse, ma si spostavano con rapidità tra boschi e zone disabitate, colpendo e poi ritirandosi. Solo nel 976 osò sfidare i Vichinghi in una battaglia campale, a Sulcoit, e li sconfisse. Sull'onda del successo riportato prese d'assalto la piazzaforte di Limerick e la espugnò. "La ridusse a una nube di fumo e di rosso fuoco. Tutti i prigionieri vennero riuniti e quelli atti alle armi uccisi, gli altri resi schiavi". Dal quel momento riuscì a imporsi come re del Munster. Costruita una flotta risalì lo Shannon e prese d'assalto il Connaugh, il Meath e il Leinster. Infine assediò Tara, la sede dell'ard righ (re supremo). Mael Sechnaill, titolare della carica, non trovò nessuno disposto ad aiutarlo e nel 1002 dovette cedere la propria autorità a Brian. Non si era mai visto un ard righ tanto potente: la maggior parte dei vichinghi e degli Irlandesi ne riconoscevano la supremazia e Brian giunse ad inviare spedizioni navali contro la Scozia, il Galles e l'Inghilterra. La controffensiva partì dal regno vichingo di Dublino che nel 1013 radunò un grande esercito, rinforzato dai re ribelli del Leinster e da guerrieri provenienti dalle isole Orcadi e da Man. Brian mosse subito contro Dublino e scatenò i suoi uomini contro i nemici scesi in campo a Clontarf. I Vichinghi scagliarono una pioggia di frecce intinte "nel sangue di Draghi, rospi e serpenti infernali", ma non poterono evitare la sconfitta. Brian aveva atteso l'esito della battaglia nelle retrovie, pregando e impartendo ordini, ma sfortunatamente un gruppo di guerrieri dell'isola di Man, nel caos della strage si gettarono in avanti e finirono proprio addosso all'ard righ. Brian troncò la gamba al loro capo con un colpo di spada, ma questi fece in tempo a spaccargli la testa con un fendente. Anche suo figlio Murchad, famoso guerriero, nel combattere con due spade morì in seguito alle ferite riportate e svanì così il sogno di rafforzare il potere centrale in Irlanda.

Alla prossima!!!

Monday, October 17, 2005

Addio cacciatore di nazisti


Un mese fa circa (20 settembre), all'età di 96 anni si è spento a Vienna un grande uomo, "Simon Wiesenthal".
Simon è un simbolo, è l'uomo che ha speso tutta vita per perseguire un ideale quello della "Giustizia", è l'uomo che ha inseguito per tutto il mondo gli infami protagonisti della della follia nazista; ma attenzione, non per vendetta, capiamoci bene, ma per giustizia, per 6 milioni di ebrei, omosessuali, dissidenti politici, zingari, schiavizzati, seviziati, torturati, utilizzati quali cavie da laboratorio, spietatamente massacrati.
Simon Wiesenthal nasce il 31 dicembre del 1908 a Buczacz, una volta Polonia (oggi fa parte dell'Ucraina), studiò architettura, ed esercitò per un breve periodo questa professione, fino all'invasione Nazista in Polonia nel settembre del 1939 e la spartizione, come da accordo Hitler-Stalin, della stessa nazione.
Simon si trovò a Leopoli quando questa cadde sotto l'influenza sovietica, si vide costretto ad abbandonare la professione di architetto per evitare quello che per molti è valso come la deportazione in Siberia.
Con l'operazione Barbarossa del 1941, e l'invasione delle truppe naziste in territorio sovietico passò da carnefice a carnefice, infatti iniziò una peregrinazione da campo di concentramento in campo di concentramento (ben 13), fino a quando, per un po di tempo, riuscì a fuggire e a vivere in clandestinità, per poi essere rintracciato, torturato e internato.
Il 5 maggio del 1945 le truppe alleate, entrarono e liberarono il campo di Matausen dov'era prigioniero lo stesso Wiesenthal, ma lo scenario che si presentò loro fu agghiacciante e le prime cineprese poterono documentare quello che per alcuni era solo un sentito dire, le barbarie più oscene ed atroci. Poco tempo dopo essere stato liberato scoprì che tutta la sua famiglia fu sterminata; ritrovò la moglie anch'essa vittima della follia nazista e un anno più tardi naque la loro unica figlia.
Nell' immediato dopoguerra collaborò con l'OSS (precursore dell'attuale CIA) per l'acquisizione di documenti utili per il processo di Norimberga, concluso il quale, conscio che ancora molti non avevano pagato, con un gruppo di amici aprì il Centro di Documentazione Ebraica a Linz (Austria) proseguendo il lavoro nella ricerca dei criminali nazisti.
Decise come ebbe a scrivere, di farsi portavoce di coloro che non sono sopravissuti perchè nessuno dimentichi la loro memoria, perchè la giustizia contro i crimini di guerra non ha limiti. La sua arma era setacciare tra i documenti dell'enorme burocrazia del terzo Reich, perchè seppur distrutti qualcosa rimaneva: carte, foto, testimonianze.
Nel 1947 ebbe inizio la guerra fredda, due mondi contrapposti; l'umanità voltò pagina facendo uscire di scena il tremendo passato e dando importanza alle due super potenze in contrasto.
In questo clima, molti ex-criminali nazisti iniziano a collaborare con le due superpotenze, causando l'abbandono degli amici di Simon del centro di documentazione ebraico di Linz. Nel 1954 Wiesenthal chiude l'ufficio di Linz e spedisce tutta la documentazione da lui reperita all'archivio dello Yad Vashem, l'ente preposto dallo stato israeliano a seguire le vicende inerenti l'Olocausto. Gli unici documenti che trattiene riguarda Adolf Heichmann lo stratega della "soluzione finale" del problema ebraico, l'organizzatore dello sterminio di milioni di innocenti.
Wiesenthal iniziò la sua caccia all'assassino, del quale non si aveva riscontro fotografico, ma con un lavoro straordinario e meticoloso, scoprì nel 1959 che il mostro si trovava in Argentina sotto falso nome (Ricardo Kleber) assieme alla moglie, con un impiego in una fabbrica d'auto.
La documentazione giunse allo stato di Israele, il quale pianificò un operazione in loco e l'11 maggio 1960 Heichmann venne arrestato e consegnato ad Israele. Due giorni dopo il presidente Ben Gourion annunciò alla Knesset la cattura del criminale e il processo a suo carico.
Grazie alla documentazione del cacciatore Wiesenthal, il 31 maggio 1961 Heichmann venne condannato a morte per impiccagione.
Rinfrancato da questo importantissimo successo, Wiesenthal tornò a Vienna ed aprì nuovamente la sua attività, ottenendo collaborazioni da reduci di guerra, militari, ed anche ex-nazisti "pentiti". Ma lo spauracchio dell'oblio era ancora pesantemente presente, come i tentativi di gruppi neonazisti di fare del revisionismo storico, ritenendo una fandonia il diario di Anna Frank (la ragazzina di soli 16 anni che, deportata con la famiglia, troverà la morte ad Auschwitz, il padre unico superstite, recupererà il diario nella soffitta e lo farà pubblicare).
Ad una trasposizione teatrale del libro stesso, una forte contestazione di giovani fanatici neonazisti condusse Simon Wiesenthal ad indagare su chi fosse stata l'SS che nel 1944 arrestò la bambina e la famiglia: se avesse ritrovato la stessa SS, nessuno avrebbe potuto dubitare del libro in questione. Le prove a disposizione di Simon erano frammentarie e di una pochezza allarmante, ma il testardo cacciatore non demordette, e nel 1963 l'uomo venne individuato in un membro della polizia Austriaca, un certo Silberbauer il quale confessò l'arresto della bambina e della sua famiglia.
Simon Wiesenthal aveva fatto nuovamente colpo, aveva permesso alla verità di emergere, alla realtà dei fatti di imporsi.
Wiesenthal ha permesso di rintracciare, far arrestare e condannare 1100 criminali di guerra nazisti; suo unico cruccio è stato quello di non essere riuscito ad acciuffare il "dottor morte" Mengele, lo spietato scienziato della morte, e della razza ariana fatta in laboratorio (i resti del cadavere presunto di Mengele saranno ritrovati in Brasile).
Visitando un sopravvissuto del campo di Mauthausen, diventato nel dopoguerra gioielliere, quest'ultimo chiese a Wiesenthal perché non avesse scelto di tornare a fare l'architetto. La risposta fu la seguente: «Tu sei religioso, credi in Dio e nella vita dopo la morte. Anch'io. Quando arriveremo nell'Aldilà e milioni di ebrei morti nei campi di concentramento ci chiederanno "Cos'avete fatto?", riceveranno molte risposte. Tu dirai: "Sono diventato gioielliere". Qualcun altro dirà: "Ho costruito case". Ma io dirò : "Io non vi ho dimenticati"».
Ora il grande cacciatore di nazisti se ne è andato, i libri di storia parleranno di lui, della sua vita votata alla causa di della giustizia, perchè non c'è alcuna libertà senza giustizia come amava ripetere. La vita di questo grande uomo deve rimanere ben impressa nella mente e nel cuore di tutti, almeno questa di ricompensa se la è meritata. A tante persone la storia non piace, ma serve a questo, a non dimenticare e a crescere.

Piccolo frammento di un intervista rilasciata nel 1990 da Simon Wiesenthal alla tv svizzera del cantone italiano.
"L'Olocausto lascia un segno indelebile per chi lo ha vissuto, non termina i suoi effetti nefasti con la Liberazione. Uno continua ad esserci dentro, non si riesce mai più a provare una vera gioia. Mi ricordo che una volta, a Los Angeles, il mio amico Zubin Metha, il famoso direttore d'orchestra, mi invitò a un concerto.
Suonò un giovane pianista, bravissimo, e suonò Rachmaninoff, il mio compositore preferito. Suonò in modo così meraviglioso che a un tratto, durante il concerto, il pubblico spontaneamente si alzò in piedi ad applaudirlo.
Anch'io feci come gli altri, ma poi mi risedetti. Non potevo continuare ad applaudire. Lo raccontai poi a Metha, che mi chiese: “Perché, cosa è successo, che cosa ti opprimeva?” Io risposi: ”Mi opprimeva il pensiero di quanti giovani talenti come lui, persone meravigliose, che potevano dare gioia all'umanità, sono stati sterminati, senza essersi resi colpevoli di nulla”. E questo mi ha
offuscato la gioia: ho pensato a quelli che sono stati sterminati. Vede, nulla e nessuno può guarire la mia anima ferita. Così è. C'è un proverbio che dice: “Tutto nella vita ha il suo prezzo, e io lo pago, e posso guardare in faccia a tutti. Questo è una specie di ricompensa."
Grazie dell'attenzione.
Mosca

Monday, October 10, 2005

I valori di una volta

Durante la guerra contro i greci, Dario il Grande, re di Persia, subì una grande sconfitta a Maratona (490 A.C.) da parte dell’esercito ateniese, e fu costretto a rinviare il progetto di conquista della piccola Grecia.
Ma nel frattempo morì e il trono succedette al figlio maggiore Serse che si trovò di fronte all’impegno di portare a termine il progetto del padre e di vendicare il torto subito da un piccolo stato come la Grecia. Così iniziarono i preparativi per la spedizione e alla fine Serse mandò in Grecia il più grande esercito che si era mai visto. Schierò circa 1.200 galee e più di 2.000.000 di soldati con altrettante persone al seguito (le cifre di Erodoto sono esagerate, sicuramente non saranno stati più di 300.000 mila soldati, ma erano comunque tanti per l'epoca); si avviò sprezzante verso l’invasione, nonostante i saggi moniti di chi gli predisse la valorosa resistenza che i greci gli avrebbero opposto.
La notizia dell’imminente spedizione persiana indusse i greci a riunirsi all’Istmo di Corinto, dove decisero di fare una tregua e di allearsi tra di loro al fine di organizzare una valida resistenza contro il nemico comune. Contro un attacco proveniente dal nord la Grecia aveva tre linee naturali di difesa: la valle di Tempe nel settentrione della tessalia, il passo delle Termopili tra la tessalia e il centro della penisola ellenica e finalmente l’istmo di Corinto che congiunge il Peloponneso alla Grecia centrale.
All’inizio si decise di far fronte sulla linea più settentrionale, ma gli spartani non erano convinti di mandare le loro truppe nel nord della Grecia, in un luogo cosi lontano dal Peloponneso e ritenevano che fosse molto più opportuno organizzare la loro difesa all’Istmo di Corinto, punto di accesso al Peloponneso; percio si prese la decisione di ripiegare sulle Termopili, il passo era così angusto che poteva essere difeso da un corpo di truppe relativamente piccolo anche contro forze molto superiori.
Cosi vennero inviati alle Termopili 3.900 opliti (300 Spartiati, 1000 di Tegea e Mantinea, 120 di Orcomeno, 1000 dal resto dell’arcadia, 700 Beoti e 1000 Focesi), con il compito di tenere il passo finchè non si fosse concentrato tutto l’esercito della lega.
Gli spartiati furono comandati dal re Leonida, formidabile guerriero ultra sessantenne, ma dalla mente sveglia e acuta, che era diventato re nel 490 A.C., dopo la morte dei due fratelli maggiori.
Secondo la descrizione di Erodoto, dalle Termopili verso occidente c’è una montagna impervia e scoscesa che va innalzandosi verso l’Eta; ad oriente della strada c’è il mare e una distesa paludosa. In questo passo una volta fu costruito un muro dai Focesi per proteggersi dai nemici, muro che ormai era rovinato dal tempo, ma che Leonida fece sistemare e fortificare per la guerra, e si sistemarono lì dietro.
Intanto Serse con il suo esercito arrivò davanti alle Termopili e mandò un esploratore a vedere quanti soldati c'erano, ma arrivato nell’accampamento non li vide perché erano schierati dietro il muro. Il caso volle che in quel momento gli spartani stavano di fuori, alcuni facendo esercizi ginnici ed altri pettinandosi le chiome; vedendo ciò l’esploratore si stupì e contandone il numero ritornò indisturbato a raccontare tutto al proprio re, che ascoltandolo non riusciva a comprendere come stessero veramente le cose, cioè che gli spartani si preparavano a ricevere e a dare la morte con tutte le loro forze; mentre, credendo che facessero cose ridicole, andò a chiamare Demarato (spartano costretto a forza a combattere per Serse) e gli chiese cosa stessero facendo. E quello rispose:”Questi uomini son giunti per combattere contro di noi per il passo, e a ciò si preparano. Infatti essi hanno questa consuetudine: quando stanno per mettere a repentaglio la vita, allora si adornano la chioma. E sappi inoltre che, se riuscirai ad abbattere costoro e quelli che sono rimasti a Sparta, non c’è altro popolo che oserà alzar le mani contro di te: ora tu muovi contro il regno più splendido della grecia e contro gli uomini più valorosi".
Serse nel sentire queste parole rise ancora e attese 4 giorni convinto che il solo numero dei suoi soldati sarebbe bastato a farli fuggire. Il giorno successivo stanco di aspettare ordinò l'attacco convinto di concludere subito la partita, ma ebbe una brutta sorpresa, per tutto il giorno, in qella strettissima gola i Greci combatterono ferocemente e per loro il numero di persiani non contava. Ad ogni assalto i Persiani venivano respinti e con il loro leggero equipaggiamento non potevano nulla contro quello pesante degli opliti. Serse decise allora di schierare le sue truppe d'èlite "i diecimila immortali", soldati equipaggiati e preparati di tutto punto comandati da Idarne, ma anche loro non riuscirono a passare la feroce difesa. I Greci combattevano a turno, concedendosi un pò di riposo, e dopo i massacri si accasciavano a terra sudati e sporchi di sangue per poi rialzarsi e tornare a combattere.
Già Serse disperava di vincere quel pugno di eroi, quando un greco traditore - Efialte - gli offrì di condurre l'esercito per un aspro sentiero di montagna poco conosciuto, al di là delle pendici dell'Oeta, per il quale si poteva giungere alle spalle di Leonida e dei suoi uomini.
La difesa di quest'altro sbocco era affidata a mille ausiliari Focesi, ma questi sorpresi dai nemici, sotto una grandine di frecce, fuggirono senza nemmeno tentare la resistenza. In tal modo la difesa del passo diventò impossibile. Leonida con gli altri ausiliari, non volle sacrificare inutilmente un esercito di cui la Grecia aveva bisogno. Licenziò gli alleati e, con i suoi trecento uomini e alcuni di Tespia che vollero condividere la gloria dell'eroismo, si trincerò sul posto. Pur
vedendo la situazione disperata Leonida era troppo orgoglioso per sopravvivere alla sconfitta e preferì morire da eroe alla testa dei suoi Spartani. Del resto, le leggi di Sparta non contemplavano la ritirata. Perfino le madri e le mogli non guardavano più in faccia i figli o i mariti se questi avevano indietreggiato davanti al nemico. Perfino quando veniva consegnato il cadavere del loro congiunto, per prima cosa si accertavano se le ferite erano dietro il corpo o davanti; e nel primo caso si allontanavano dal cadavere sdegnate.
Questa accanita difesa più che una battaglia diventò subito uno sterminio. Una grandine di sassi e di frecce si abbattè su di loro. Con già a terra una montagna di cadaveri, Leonida persa la sua lunga lancia, stava combattendo con la spada in mano. Convinti che non aveva più scampo i persiani chiesero di consegnare le armi, Leonida sprezzante gridò loro "Venite a prenderle!". Poi esponendosi un po' troppo, già più volte ferito, crivellato da una gragnuola di colpi, cadde morto.
A stento i suoi uomini cercarono di trascinare il suo cadavere dietro quell'anfratto che chiude l'entrata delle Termopili.
Ad un certo punto quel corpo esanime sembrava il più ambito e glorioso "trofeo", conteso per opposti motivi da Persiani e Greci; ma furono questi ultimi, non uno escluso, a cadere massacrati sopra quel cadavere che volevano difendere. I Persiani da una posizione dominante, prendendoli di mira scagliavano da lontano frecce e sassi, non osando avvicinarsi per lo sbigottimento prodotto da tanto valore. Attesero che cadesse l'ultimo uomo.
A Serse quell'entrata nelle Termopili costò la perdita di 20.000 uomini, fra cui due figli di Dario. Infuriato, s'impossessò del "trofeo", e fece mettere in croce il cadavere di Leonida. Solo più tardi, dopo la vittoria a Salamina, i greci raccolsero pietosamente le sue membra scarnificate e sul posto eressero il suo sepolcro, che oggi è ancora lì: giganteggia sulla litoranea che porta ad Atene. Da circa 2.500 anni è un luogo di raccogliemento e di venerazione per tutti i greci.
Da due millenni e mezzo, anche il frettoloso visitatore può leggere sul sepolcro questo brevissimo eroico epitaffio, che è anche un monito: "Va’ o passeggero, narra a Sparta che noi qui morimmo in obbedienza alle sue leggi".
Ho voluto esordire con questo post perchè è una storia che mi ha sempre affascinato e che non tutti conoscono. Una volta quei valori e quegli ideali rappresentavano lo stile di vita di tutte le persone; oggi è sempre più difficile trovare qualcuno disposto a sacrificicarsi per gli altri persino nelle più piccole cose e forse conoscere queste storie può aiutare. Non dico che cambino le persone, ma almeno le può far riflettere!
Ciao a tutti!!
Mosca

Monday, October 03, 2005

Storia di vite vissute

Ciao a tutti, i lavori sono appena cominciati e quindi ancora in corso...
In questo blog parlerò della Storia, ma non come l'avete studiata a scuola, ma cercando di racontarvi dei particolari curiosi e dei piccoli aneddoti che hanno reso grandi o piccoli alcuni personaggi. Parleremo anche di fatti che hanno coinvolto più di una persona, ed ecco perché storia di vite vissute.
Spero di intrattenervi e di non annoiarvi; ma di aggiungere un pezzetto alla vostra cultura personale. A presto

Mosca